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Meccanismi fisiopatologici
 
 

Essi assumono un'importanza essenziale, poiché si può logicamente sperare che i progressi terapeutici nasceranno da una migliore conoscenza dei meccanismi coinvolti. Sfortunatamente, a tutt'oggi, nessuno dei processi chiamati in causa ha dato prova della sua veridicità.
La raccolta dell'anamnesi del paziente che richiede un consulto perché infastidito dai suoi acufeni, rivela abbastanza spesso una cronologia distinta in due fasi che, dal punto di vista dell'Autore, viene troppo spesso trascurata. In un primo tempo, l'acufene, comparso insidiosamente, era leggero, intermittente e non causava (retrospettivamente) alcun fastidio. Pur essendo di entità tale da non condurre generalmente il paziente a consultare un medico, riveste certamente una grande importanza clinica poiché molto spesso viene descritto spontaneamente quando al paziente viene chiesta l'evoluzione del suo disturbo. La durata di questa fase di buona tolleranza varia a seconda dei soggetti, ma può essere di diversi anni. Il fastidio compare durante questo periodo, l'acufene può divenire molto più forte e/o permanente, in maniera improvvisa o progressiva e, in seguito a questo cambiamento, assume le caratteristiche che spesso i pazienti enunciano: fastidioso, irritante, angoscioso, insopportabile, disperante... Ci sembra utile includere, nella discussione fisiopatologica, ipotesi in grado di far luce su questa evoluzione, per quanto ci riguarda, riscontrata così frequentemente. Si può d'altronde avvicinare a questo tentativo la proposta, fatta da altri Autori di distinguere i meccanismi fisiopatologici che conducono alla comparsa o all'ingravescenza di un acufene, da quelli che possono spiegare la sua persistenza in quanto determina disturbi d'altro genere.




Studio dell'attività nervosa

La comparsa dell'acufene è il risultato di un'attività nervosa anomala sulle vie uditive. Questa prima teoria, sviluppata in particolare da Jastreboff, costituisce una vexata quaestio.
Questa teoria è nata da studi di elettrofisiologia effettuati su gatti a cui erano state somministrate forti dosi di aspirina (400 mg/kg); è stato dimostrato infatti, dopo moltissimo tempo, che l'uso dell'aspirina è in grado di scatenare una sordità transitoria con acufeni. La tecnica, che faceva ricorso alla registrazione dell'attività spontanea unitaria, ossia, raccolta direttamente sulle fibre del nervo acustico, rivelava un aumento di questa attività spontanea e la comparsa di bouffée di influsso nervoso. Questa scoperta, interessante sul piano clinico, era purtroppo inficiata da diverse scappatoie metodologiche: il gatto è molto sensibile all'aspirina e le dosi impiegate hanno potuto provocare in maniera molto efficace un effetto tossico aspecifico sulla via uditiva; inoltre, il numero di animali era limitato. Un altro studio condotto sui gatti, qualche anno più tardi e in condizioni più rigorose, non giunse a evidenziare cambiamenti sistematici nell'attività spontanea del nervo acustico dopo somministrazione di aspirina.
L'attività elettrofisiologica del nervo acustico è stata studiata, dopo somministrazione di aspirina, su altre specie come la cavia ed il piccione. Anche questi lavori hanno verificato un aumento dell'attività spontanea unitaria, ma l'interpretazione dei risultati non è affatto agevole poiché sono stati osservati solo con dosi elevate (400 mg/kg) e in tempi che sembrano molto brevi (da 30 a 120 minuti) se si tiene conto della cinetica dell'aspirina nella perilinfa.
Altri Autori si sono quindi interessati alla valutazione degli effetti della somministrazione di aspirina sull'attività unitaria spontanea delle strutture uditive più lontane dalla chiocciola, in particolare il collicolo inferiore. In una prima serie di registrazioni unitarie sul collicolo inferiore di cavie albine, il tasso rappresentatitivo dell'attività neuronale spontanea si rivelò aumentato per dosaggi di 460 mg/kg di aspirina. Tre argomenti danno un certo credito a questa osservazione: l'efficacia è rimasta stabile negli animali che hanno ricevuto siero al posto dell'aspirina; le registrazioni sono state effettuate in un momento in cui gli effetti tossici dell'aspirina sul comportamento erano scomparsi (2 ore); le stesse misurazioni realizzate sul verme cerebellare non hanno mostrato alcun cambiamento, rendendo molto improbabile un'azione generale tossica dell'aspirina sul collicolo inferiore.
In un lavoro più recente condotto sul ratto, la stessa équipe si è impegnata a studiare, a livello del nucleo esterno del collicolo inferiore, l'attività unitaria di fibre che presentano delle caratteristiche funzionali distinte. Questa specie è stata scelta perché era stato messo a punto un modello comportamentale di acufeni, anche questo indotto da aspirina.
È stato possibile ridurre la dose di aspirina impiegata nello studio elettrofisiologico sul collicolo a un livello abbastanza basso, 233 mg/kg, la soglia che si sospetta capace di far comparire degli acufeni nel topo non superiori ai 150 mg/kg. Prima della somministrazione di aspirina, le unità sono state suddivise in diverse categorie a seconda della loro reazione a stimoli acustici. L'analisi globale di tutte le unità rivela che l'aspirina provoca un aumento dell'attività spontanea (probabilità di scarica) e la comparsa di fasi di attività. Queste fasi sono costituite di 4-20 picchi molto ben sincronizzati, cioè separati da un intervallo costante, il più delle volte 1,6 millisecondi. Per le unità a buona selettività frequenziale, che dispongono cioè, di una frequenza tipica precisa e di un campo di risposta ristretto, il cambiamento dell'attività spontanea riguarda innanzitutto le cellule con frequenza caratteristica compresa tra 10 e 16 kHz. Dunque, nel modello comportamentale dell'acufene, questa gamma di frequenza corrisponde all'altezza misurata psicoacusticamente. In un altro gruppo di unità, che non rispondono a una stimolazione acustica controlaterale e che pertanto hanno una funzione fisiologica differente, hanno luogo dei cambiamenti simili dell'attività spontanea: bouffée sincrone, di periodicità quasi identica (1,7 ms), si manifestano con frequenza ancora maggiore rispetto al gruppo precedente. Queste unità potrebbero appartenere al sistema extralemniscale, al quale Moller attribuisce un ruolo fisiopatologico negli acufeni. Infine, a prescindere dal gruppo di unità, gli animali pretrattati con calcio non presentano alcuna modificazione elettrofisiologica, anche in accordo con quanto Jastreboff riscontra nel suo modello comportamentale.
Quale insegnamento sugli acufeni si può trarre da tali studi sullo stato funzionale spontaneo della via nervosa uditiva dopo somministrazione di aspirina? Altri studi, condotti sulla coclea, dimostrano che l'aspirina ha un punto di impatto periferico: l'aspirina modifica l'elettromotilità delle cellule ciliate, gli effetti del rumore sulle cellule ciliate sono più rilevanti se il rumore è combinato all'aspirina. Ma i cambiamenti osservati nell'attività elettrofisiologica spontanea del collicolo inferiore dimostrano anche che l'aspirina esercita un'azione centrale. È possibile conciliare i due punti di vista considerando che il sovrappiù di attività spontanea misurata a livello del collicolo riflette una reazione dei centri uditivi al disturbo periferico causato dall'aspirina. Questa interpretazione, che incontra il nostro favore, non risponde a tutte le domande e ben altre imprecisioni restano in sospeso. Ne discuteremo in breve due:
- perché l'attività spontanea normale che è presente sulla via uditiva non è sentita, contrariamente all'acufene?
- quali sono le alterazioni periferiche in grado di far reagire in questo modo i centri?


Studio sulla percezione dell'attività spontanea normale

Perché l'attività spontanea normale che è presente sulla via uditiva non è sentita?
Si può ammettere che l'attività spontanea presente allo stato normale a livello dei centri uditivi abbia una duplice origine: una parte deriva dall'attività spontanea generata a livello della periferia e a priori trasmessa ai nuclei uditivi; un'altra nasce direttamente a differenti stadi della via uditiva centrale. Ma quale che sia la sua provenienza, questa attività spontanea non è sentita ed è interessante soffermarsi un istante su questo mistero.
Cos'è che permette alla corteccia uditiva normale di percepire questa attività spontanea o, analogamente, qual è la differenza tra un influsso nervoso presente nel silenzio e un influsso nato da una stimolazione esterna?
Il concetto di correlazione fornisce una possibile risposta a questa domanda. Schematicamente, esso si basa su una stima da parte del cervello del grado di sincronizzazione tra gli influssi nervosi che gli giungono. Nel gatto per esempio, l'attività spontanea di una cellula ciliata interna della base della chiocciola è trasmessa a una ventina di fibre afferenti; queste fibre possiedono caratteristiche funzionali diverse (soglia, tasso di scarica, ecc.), non è sorprendente che l'attività che vi si riscontra spontaneamente non sia sincronizzata. Quando, al contrario, questa cellula viene stimolata da un suono esterno, il neurotrasmettitore è liberato in maniera sincrona in più sinapsi afferenti, per cui si ha una scarica sincrona in diverse fibre adiacenti . Questa sincronizzazione sarebbe rilevata soprattutto da alcuni centri uditivi disposti in serie, particolarmente il nucleo centrale del collicolo inferiore, ma probabilmente anche dalle diverse aree della corteccia uditiva. Si può pertanto supporre che un processo in grado di creare una sincronizzazione adeguata dell'attività spontanea a livello delle fibre adiacenti, possa far apparire un acufene. È stata anche proposta come fonte possibile di una simile sincronizzazione interneuronale, la presenza di lesioni della guaina mielinica o una compressione vascolare del nervo acustico.




Differenti tipi di alterazioni periferiche

Quali sono le alterazioni periferiche in grado di provocare una reazione di iperattività da parte dei centri?
Le molteplici ipotesi avanzate al giorno d'oggi si scontrano tutte con una difficoltà più grande: l'assenza di un modello animale per gli acufeni al tempo stesso semplice e affidabile. Certamente Jastreboff ha messo a punto un modello comportamentale sul ratto a cui vengono somministrate forti dosi di aspirina, ma gli altri laboratori di ricerca che hanno provato a riprodurre questo modello o non ci sono riusciti o hanno ottenuto risultati meno probanti. Inoltre, non esiste un mezzo obiettivo per registrare il processo corticale che conduce alla percezione dell'acufene, nonostante alcuni progressi siano stati ottenuti. Si capisce che è ancora molto difficile dimostrare il ruolo dei disturbi periferici nella genesi degli acufeni.
Possono comunque essere evidenziati argomenti di presunzione a partire dalle circostanze nelle quali acufeni e sordità di origine cocleare seguono un'evoluzione parallela. Le sordità improvvise e le crisi della sindrome di Ménière sono gli esempi più salienti. Nelle sordità improvvise che recuperano, si assiste molto spesso a una lieve attenuazione o addirittura a una scomparsa degli acufeni contemporaneamente al ripristino della funzione uditiva. Allo stesso modo nella prima fase della sindrome di Ménière, i ronzii diventano molto leggeri quando la funzione acustica si normalizza una volta passato l'attacco di vertigine. Si può affermare che, in tali situazioni patologiche, il disturbo della funzione cocleare è direttamente correlato alla percezione dell'acufene. A nostro avviso, questa relazione interverrebbe in particolare nelle affezioni cocleari acquisite ed evolutive.
Una teoria seducente è quella che prevede la presenza di un coinvolgimento non uguale delle cellule ciliate esterne e delle cellule interne (CCE e CCI) o, cosa che ritorna in fin dei conti alle stesse conseguenze, un'alterazione variabile delle fibre afferenti di tipo I e di tipo. Uno dei primi ad avere ipotizzato questa eventualità fu Spoendlin che aveva constatato, nei suoi studi anatomopatologici su coclee colpite da un trauma acustico, la coesistenza, in una stessa zona, di CCE morfologicamente alterate e di CCI di aspetto normale. Questa osservazione era stata rafforzata dal fatto che la frequenza dell'acufene, misurata mediante equalizzazione psicoacustica, corrispondesse spesso alla pendenza della curva audiometrica, cioè, a una zona di transizione tra cellule parzialmente colpite o intatte e cellule gravemente interessate. Ora nelle patologie cocleari sperimentali causate da aminosidi o da rumore, le cellule ciliate non sono colpite nella stessa maniera in tutte le zone della membrana basilare: la lesione delle CCE è in genere più precoce e più estesa di quella delle. Quando si analizza la morfologia delle cellule sensoriali dalla base della chiocciola fino all'apice, si possono così riscontrare quattro zone poste in successione, che differiscono per l'importanza delle lesioni cellulari: una regione dove CCE e CCI sono distrutte, quindi una zona dove delle CCI parzialmente lesionate confinano con delle CCE mancanti, una regione in cui si riscontrano CCI morfologicamente intatte e CCE in parte alterate e, infine, una zona dove le due categorie di cellule sono rimaste. La seconda e la terza di queste zone sembrano interessanti per ciò che può riguardare gli acufeni. Si può infatti ipotizzare che l'alterazione selettiva delle CCE modifichi le proprietà meccaniche dell'organo del Corti portando al disaccoppiamento tra ciglia delle CCE e membrana tentoriale. Ciò provocherebbe un collasso localizzato della membrana tentoriale, che verrebbe così a contatto con le ciglia delle CCI ancora funzionali, provocando una depolarizzazione tonica di queste CCI e un'attività anormale sulle cellule afferenti di tipo I.
Si riscontra un altro meccanismo, che potrebbe peraltro completare molto bene quello descritto precedentemente, che chiama in causa il sistema; questa modulazione avverrebbe grazie a un circuito di feedback che interessa la trasmissione, a opera delle fibre afferenti di tipo II, di informazioni sulla lunghezza delle CCE e della posizione della membrana basilare. I nuclei del sistema efferente situati nel tronco cerebrale processerebbero questa informazione e regolerebbero la lunghezza delle CCE nella regione in questione. Una disfunzione localizzata delle CCE potrebbe privare i centri efferenti degli elementi necessari per esercitare questa azione modulatrice; ne risulterebbe una minore inibizione delle strutture normalmente controllate da questo dispositive, di conseguenza, un'iperattività delle fibre di tipo I provenienti da CCI ancora funzionanti in questa- Evidentemente non è possibile dare ampia descrizione in questa sede di tutte le altre ipotesi che sono state avanzate per chiarire l'origine degli acufeni e noi ci limiteremo a descrivere solamente la liberazione anormale del glutammato a livello delle fibre afferenti di tipo I


Meccanismi e importanza del disturbo
Una prima risposta a questa domanda fondamentale può essere formulata in maniera semplice: il disturbo provocato dall'acufene dipende dalle caratteristiche di questo acufene (intensità, altezza, carattere continuo o discontinuo, durata) ma anche da fattori tipici dell'individuo, soprattutto di ordine psicologico. Questa duplice influenza è illustrata dalle differenze che si possono riscontrare molte volte in clinica: due soggetti che presentano acufeni di pari importanza alle prove psicoacustiche e possiedono perdite uditive identiche e della stessa origine, possono manifestare un disturbo completamente differente, perché uno dei due potrebbe essere per esempio estremamente infastidito e il secondo invece non prestarvi molta attenzione. Questo paradosso fornisce tutta la sua forza a un'evidenza, l'acufene è una percezione uditiva ed è quindi, inevitabilmente, analizzato a livello dei centri uditivi. Non abbiamo intenzione di condurre il lettore per campi neuropsicologici complessi, ma riteniamo utile riassumere alcune nozioni semplici o almeno concrete il più possibile, che potranno d'altronde essere di aiuto al medico nella gestione del paziente. Quando si è impegnati simultaneamente in due compiti piacevoli, come leggere e ascoltare musica, ognuno di noi ha potuto constatare un fatto bizzarro: se la lettura è sufficientemente avvincente, si può non ascoltare più la musica o non vi si presta più attenzione. Questo non è che un esempio tra ben altre interazioni possibili tra la percezione uditiva e le funzioni intellettive o emotive.
Una volta che l'attività nervosa anomala ha preso origine sulla via uditiva, subisce presumibilmente una serie di modificazioni fisiologiche prima di essere percepita a livello della corteccia sotto forma di acufene. Queste fasi non sono dimostrate, soprattutto perché è ancora impossibile «seguire tratto per tratto» l'attività neuronale responsabile dell'acufene. Rivestono nonostante tutto un interesse potenziale per il medico nelle sue scelte terapeutiche e possono essere schematicamente distinte in due fasi, di ricezione e di percezione; anche se, in realtà, potrebbero avvenire pressoché contemporaneamente.

 
 
 
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